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L'EGITTO DI ERODOTO


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Gli Egiziani sono stati i primi al mondo a istituire feste collettive, processioni e cortei religiosi; i Greci hanno imparato da loro e ne abbiamo una prova: le solennità egiziane risultano celebrate da molto tempo, quelle greche hanno avuto inizio di recente.
   Gli Egiziani non celebrano le feste collettive una sola volta all'anno, ma in continuazione: la principale, seguita con maggiore partecipazione, è dedicata ad Artemide (Diana), nella città di Bubasti; la seconda ha luogo a Busiride ed è dedicata  a Iside; in questa città, situata in Egitto nel bel mezzo del Delta, si trova un grandissimo santuario di Iside, la dea che in greco si chiama Demetra. La terza festa è per Atena, nella città di Sais, la quarta a Eliopoli, per il dio Elio, la quinta a Buto in onore di Leto; la sesta è dedicata ad Ares e ha luogo nella città di Papremi.

                   Ecco che cosa fanno quando si recano a Bubasti: viaggiano sul fiume, uomini e donne insieme, una gran folla di entrambi i sessi sopra ogni imbarcazione; alcune donne hanno dei crotali e li fanno risuonare, alcuni uomini suonano il flauto per tutto il tragitto; gli altri, uomini e donne, cantano e battono le mani; quando giungono all'altezza di un'altra città, accostano a riva e si comportano così: alcune continuano a fare ciò che ho detto, altre a gran voce dileggiano le donne del posto, altre danzano, altre ancora si alzano in piedi e si tirano su la veste. Così in ogni città che incontrino lungo il fiume. Una volta arrivati a Bubasti, celebrano la festa offrendo imponenti sacrifici; in questa ricorrenza si consuma più vino d'uva che in tutto il resto dell'anno. Vi accorrono, a quanto sostengono i locali, fino a settecentomila persone fra uomini e donne, senza contare i bambini. Così a Bubasti; a Busiride quando celebrano la festa di Iside tutto si svolge come ho già ricordato prima. Dopo il sacrificio uomini e donne si battono tutti il petto, e sono svariate decine di migliaia di persone: ma dire in onore di chi si battono il petto sarebbe empio da parte mia. Tutti i Cari che vivono in Egitto si spingono molto più in là: con dei coltelli si infliggono ferite sulla fronte, e da questo si capisce che non sono Egiziani, ma stranieri.

                   A Sais, quando si riuniscono per i riti sacrificali, una determinata notte ciascuno accende molte lampade intorno alla propria casa, all'aperto; le lampade sono delle ciotoline piene di sale e di olio, sulla cui superficie galleggia il lucignolo e brucia per tutta la notte; sicché la festa è detta «dei lumi accesi». Gli Egiziani che non si recano a questo raduno festivo aspettano la notte del sacrificio e accendono a loro volta, tutti, le lucerne; e in tal modo non solo a Sais si accendono lucerne, ma nell'intero Egitto. Si tramanda un racconto sacro che spiega per quale motivo la notte in questione ha ricevuto luce e venerazione.

                   Quelli che si recano a Eliopoli e a Buto compiono soltanto dei sacrifici. Invece a Papremi hanno luogo sacrifici e riti sacri come altrove: al tramonto del sole mentre pochi sacerdoti si occupano della statua del dio, i più, invece, attendono in piedi all'ingresso del tempio armati di mazze di legno; altri uomini, oltre un migliaio di persone che compiono un voto, se ne stanno tutti insieme in un gruppo a parte, anch'essi armati di mazze. La statua del dio, contenuta dentro una specie di piccolo tabernacolo di legno ornato d'oro, è stata frattanto trasportata, la vigilia della festa, in una diversa dimora sacra. I pochi sacerdoti rimasti accanto ad essa tirano un carretto a quattro ruote, che porta il tabernacolo con dentro la statua stessa, ma i sacerdoti in piedi vicino all'ingresso non la lasciano entrare: allora il gruppo delle persone impegnate a soddisfare il voto prende le difese del dio randellando i sacerdoti; questi a loro volta reagiscono. Insomma si scatena una violenta rissa a colpi di bastone: si fracassano la testa e secondo me molti ci lasciano la pelle in seguito alle ferite riportate; gli Egiziani comunque escludono categoricamente che sia mai morto qualcuno. Gli abitanti di Papremi dicono di aver introdotto tale festa per il
seguente motivo. Abitava un tempo nel santuario la madre di Ares; Ares che era stato allevato altrove, divenuto adulto, venne a Papremi per riunirsi a lei; ma i servitori della madre non lo avevano mai visto prima di allora, perciò non gli consentirono l'ingresso e lo mandarono via; Ares raccolse uomini da un'altra città e usando le cattive maniere nei confronti dei servitori poté entrare da sua madre. Da tale episodio, dicono, avrebbe tratto origine l'usanza della bastonatura durante la festa in onore di Ares.

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   Gli Egiziani sono stati anche i primi ad osservare religiosamente il divieto di accoppiarsi con le donne all'interno dei santuari e di entrarvi dopo un accoppiamento senza essersi lavati. Quasi ovunque nel mondo, tranne in Egitto e in Grecia, uomini e donne hanno rapporti sessuali dentro aree sacre, o vi entrano, dopo, senza essersi lavati, ritenendo che gli uomini sono come le altre bestie.
   Infatti si vedono tutti gli animali e varie specie di uccelli accoppiarsi all'interno dei templi o dei sacri recinti; se ciò non fosse gradito agli dei, dicono, gli animali non lo farebbero. Con questa giustificazione tengono un comportamento che a me non piace affatto. Invece gli Egiziani hanno uno straordinario rispetto per le norme religiose in generale e per queste in particolare. Pur confinando con la Libia, l'Egitto non è molto popolato da animali, ma quelli che vi sono, sono considerati sacri, senza eccezione, sia quelli domestici come i selvatici. Se spiegassi perché sono considerati sacri verrei a parlare di questioni divine, sulle quali io evito il più possibile di intrattenermi. Se talora ho sfiorato simili argomenti, l'ho fatto perché costretto dalla necessità.

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                     Esiste una legge sugli animali: essa prescrive che alcuni Egiziani, uomini o donne, vengano incaricati di provvedere al nutrimento di ciascuna specie; e tale onore si trasmette dal genitore al figlio.
Gli abitanti delle città, ciascuno per conto suo, quando fanno voti al dio protettore di un dato animale, compiono questi riti: radono il capo dei propri figli, per intero, per metà o per un terzo, e poi sui due piatti della bilancia pongono i capelli e una quantità di argento: l'argento che bilancia il peso dei capelli lo danno alla guardiana degli animali; in cambio di tale somma ella sminuzza del pesce e lo dà in pasto alle bestie. Ecco dunque, come è prescritto che vengano nutrite. Nel caso in cui qualcuno uccida uno di questi animali, se lo fa volontariamente, la pena prevista è la morte, se involontariamente, paga la pena stabilita dai sacerdoti. Nel caso si uccida un ibis o uno sparviero, volontariamente o involontariamente, la pena di morte è inevitabile.
                     Le bestie che vivono con l'uomo sono già molte, ma sarebbero ancora di più se ai gatti non accadesse una cosa strana: le femmine dopo aver partorito non vanno più con i maschi; questi provano ad accoppiarsi con esse, ma senza riuscirci. Ricorrono allora a una astuzia: rapiscono e sottraggono alle femmine i piccoli e li uccidono, dopo, però, non li divorano. Le gatte, private dei figli, ne desiderano altri e così ritornano ad accoppiarsi con i maschi: è un animale che ama molto la sua prole. Se scoppia un incendio i gatti assumono un comportamento prodigioso: gli Egiziani formano un cordone per tenere lontani i gatti, trascurando persino di spegnere le fiamme, ma i gatti sgusciando fra gli uomini o saltando sopra di loro si lanciano nel fuoco e quando questo avviene gli Egiziani provano una grande afflizione. Nelle case in cui un gatto muore di morte naturale tutti gli abitanti della casa si radono solo le sopracciglia; dove muore un cane si radono tutto il corpo e la testa.

                     I gatti morti vengono trasportati in ricoveri sacri, dove vengono imbalsamati e seppelliti, nella città di Bubasti. I cani invece li seppelliscono ciascuno nella propria città, in sacri loculi, e come i cani seppelliscono anche le manguste. I topiragno e gli sparvieri li portano a Buto, gli ibis a Ermopoli. Gli orsi, che sono rari, e i lupi, che non sono molto più grossi delle volpi, li seppelliscono nello stesso punto in cui li trovano morti.
                     Ecco le caratteristiche del coccodrillo:
nei quattro mesi più freddi non mangia nulla; ha quattro zampe e vive tanto nell'acqua come sulla terra ferma, dove depone e fa schiudere le uova; trascorre la maggior parte del giorno all'asciutto, ma l'intera notte nel fiume perché l'acqua è più calda dell'aria e della rugiada. Fra tutti gli animali conosciuti è quello che dalle dimensioni più piccole raggiunge le più grandi: infatti depone uova non molto più grosse di quelle di un'oca e il piccolo appena nato è grande in proporzione; poi crescendo raggiunge i 17 cubiti e anche di più. Possiede occhi di maiale, denti e zanne smisurate in ragione del corpo; è l'unico degli animali a non possedere lingua. Non muove la mascella inferiore, ma, anche in questo unico fra gli animali, accosta la mascella superiore all'inferiore. Ha unghie robuste e sul dorso una pelle scagliosa indistruttibile; nell'acqua è cieco ma all'aria aperta possiede una vista acutissima. Poiché trascorre in acqua parte del suo tempo, ne esce con la bocca coperta di sanguisughe; e mentre tutti gli altri uccelli o fiere lo fuggono, il trochilo invece è con lui in ottimi rapporti perché gli rende un prezioso servizio: infatti quando il coccodrillo è uscito dall'acqua sulla riva e spalanca le fauci (cosa che fa abitualmente e per lo più in direzione dello
zefiro), il trochilo gli penetra in bocca e ingoia le sanguisughe: il coccodrillo gode del sollievo procuratogli dal trochilo e non gli fa alcun male.
                     I coccodrilli sono sacri per alcuni Egiziani e per altri no; anzi li trattano con grande ostilità.
Quanti abitano intorno alla città di Tebe e al lago di Meride li ritengono assolutamente sacri: in entrambe queste regioni provvedono al mantenimento di un coccodrillo scelto fra tutti, ammaestrato e addomesticato: gli ornano le orecchie con ciondoli di smalto e d'oro, e con anelli le zampe anteriori, lo nutrono con cibi scelti e vittime di sacrifici, trattandolo insomma nel modo migliore finché è in vita. Quando muore lo imbalsamano e lo seppelliscono in loculi sacri. Al contrario coloro che abitano nei pressi di Elefantina arrivano a cibarsi dei coccodrilli, così poco li considerano sacri. Il loro vero nome non è "coccodrilli", bensì "champsai"; furono gli Ioni a chiamarli coccodrilli quando li videro simili per aspetto ai coccodrilli che nel loro paese si trovano sui muri di pietra.
                     La cattura del coccodrillo avviene secondo molte e varie tecniche; io descriverò quella che mi sembra più meritevole di esposizione. Il cacciatore sistema su di un uncino una spalla di maiale e la lancia in mezzo al fiume; quindi, stando sulla riva, percuote un porcellino vivo: il coccodrillo sente le grida del maialino e avanza in
direzione della voce, si imbatte nell'esca e la divora: a quel punto lo trascinano a riva; quando è sulla terra per prima cosa il cacciatore gli copre gli occhi con del fango: se fa così, dopo riesce facilmente ad averne ragione, se non fa così deve faticare parecchio.

                     Gli ippopotami sono sacri nel nomo di Papremi ma non per gli altri Egiziani.
Le caratteristiche esteriori dell'ippopotamo sono: quattro zampe, zoccolo fesso come quello dei buoi, muso rincagnato, criniera da cavallo, fauci con zanne in bella evidenza, coda e voce simili a un cavallo; è grosso quanto il più grosso dei buoi. La sua pelle è talmente spessa che quando è secca se ne possono fare aste per dardi.
                     Nel fiume ci sono anche lontre che gli Egiziani considerano sacre.
                     Tra i pesci ritengono sacri il cosiddetto "lepidoto" e l'anguilla; li dicono sacri al Nilo, come pure, fra gli uccelli, le "chenalopeci".
                     E c'è anche un altro uccello sacro, chiamato fenice; per altro io non ne ho mai visti se non in dipinti; pare infatti che compaia in poche circostanze, ogni 500 anni a sentire gli abitanti di Eliopoli. E dicono che apparirebbe solo quando gli muore il padre; se le raffigurazioni sono fedeli per dimensioni e per forma è come segue: le penne delle ali sono in parte dorate e in parte rosse; per sagoma e dimensioni somiglia molto a un'aquila. Gli attribuiscono, ma a me non pare troppo credibile, un'impresa straordinaria: volerebbe dall'Arabia fino al tempio del dio Elio trasportando il padre avvolto nella mirra per seppellirlo nel santuario; lo trasporta così: prima con la mirra fabbrica un uovo grande quanto è in grado di sollevare; dopo alcuni voli di prova lo svuota e vi introduce il padre; poi spalma altra mirra sul buco usato per svuotare l'uovo e per farvi entrare il padre; l'uovo con dentro il padre pesa quanto pesava prima; a questo punto lo trasporta in Egitto al tempio del dio Elio. Questo farebbe la fenice, a quanto riferiscono.

                     Nella zona di Tebe sono sacri dei serpenti del tutto innocui per l'uomo e di dimensioni assai ridotte che portano due corni sulla sommità della testa; quando muoiono li seppelliscono nel tempio di Zeus (Amon): dicono infatti che sono sacri al dio.

                     C'è una località in Arabia, pressappoco di fronte alla città di Buto, dove mi sono recato per ottenere informazioni a proposito dei serpenti alati. Quando vi giunsi, vidi resti e scheletri di rettili in quantità indescrivibili: interi cumuli di spine dorsali, un gran numero di cumuli grandi, piccoli e di medie dimensioni. La località dove le ossa giacciono ammucchiate si presenta così: un passaggio fra anguste montagne verso un'ampia pianura, la quale è collegata alla piana d'Egitto. Si racconta che all'inizio della primavera i serpenti alati volano dall'Arabia in direzione dell'Egitto, ma che gli ibis li affrontano all'ingresso di questa regione e impediscono loro di entrare, anzi ne fanno strage. A ciò gli Arabi fanno risalire il grande onore tributato agli ibis dagli Egiziani; e gli Egiziani stessi sono d'accordo nello spiegare così il rispetto che portano agli ibis.

                     L'ibis, di aspetto, è un uccello del tutto nero con zampe simili alle zampe di una gru e becco assai ricurvo; la taglia è quella di una gallinella. Così si presentano gli ibis neri, quelli che combattono contro i serpenti alati; ma le specie di ibis sono due, e quella che gli uomini si trovano tra i piedi è così: ha nudi la testa e il collo, tutte bianche le piume tranne che sul capo, sulla gola e sulla punta delle ali e della coda, dove sono al contrario perfettamente nere; per zampe e sagoma è simile all'altra specie.

                     L'aspetto dei serpenti è simile a quello delle idre; hanno ali senza penne, molto simili alle ali del pipistrello. E quanto ho detto basti sul conto degli animali sacri.

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   Gli Egiziani residenti nella parte seminata dell'Egitto sono i più dotti fra tutti coloro con cui io abbia mai avuto a che fare, perché coltivano memoria dell'umanità intera.
Essi hanno il seguente sistema di vita: si purgano per tre giorni consecutivi al mese cercando la salute con emetici e clismi intestinali, convinti che dai cibi di cui si nutrono derivino agli uomini tutte le malattie. In effetti gli Egiziani sono la popolazione più sana al mondo dopo i Libici, e ciò a mio parere a causa delle stagioni , cioè per l'assenza di mutamenti di stagione; le malattie degli uomini hanno origine per lo più nei cambiamenti, e in particolare nei cambi di stagione. Si cibano di pane preparato con farina di olira, che chiamano "killestis"; bevono vino d'orzo perché nel loro paese non hanno viti; mangiano pesci crudi e seccati al sole o conservati sotto sale. Fra gli uccelli mangiano quaglie, anatre e uccellini, crudi e sotto sale; tutti gli altri uccelli e pesci che possiedono, tranne quelli considerati sacri, li mangiano arrosto o lessi. Alle riunioni dei benestanti, appena si è finito di mangiare, un uomo porta in giro una scultura di legno raffigurante un cadavere nella sua bara, imitato alla perfezione nell'intaglio e nei colori, e lungo in tutto uno o due cubiti, e mostrandolo a ciascuno dei convitati dice: «Guardalo e bevi e divertiti: quando sarai morto anche tu sarai così». Questo fanno quando sono riuniti per bere.
                     Conservano le loro usanze nazionali e non ne acquisiscono di nuove. Tra le varie notevoli tradizioni si segnala l'esistenza di un unico canto, il canto di Lino, lo stesso presente in Fenicia, a Cipro e altrove:
il nome è diverso presso ciascuna popolazione, ma si è d'accordo nel ritenerlo lo stesso cantato dai Greci sotto il nome di Lino, cosicché tra tante altre cose d'Egitto che mi incuriosivano c'era anche l'origine di questo canto.
L'impressione è che l'abbiano sempre cantato; in egiziano Lino si chiama Manero.
  Alcuni Egiziani mi hanno raccontato che Manero fu l'unico figlio del primo re dell'Egitto; alla sua morte prematura gli Egiziani cantarono in suo onore questi lamenti funebri, che furono il loro primo e unico tipo di canto.

                      Un'altra usanza gli Egiziani hanno in comune con i Greci, o meglio con gli Spartani: quando dei giovani incontrano per strada persone più anziane cedono il passo, si scostano e al loro arrivo si alzano se erano seduti.
    Assolutamente diversa dall'uso greco è l'abitudine di inchinarsi abbassando la mano fino al ginocchio, per strada, invece di scambiarsi semplicemente un saluto.
    Vestono tuniche di lino chiamate "calasiri", ornate di frange intorno alle gambe; sulle tuniche indossano mantelli di lana bianca, ma non possono portarli dentro un tempio e usarli nel corredo funebre: non è infatti permesso.
In questo vanno d'accordo con i precetti denominati Orfici e Bacchici, che sono in realtà egiziani, e Pitagorici: chi è iniziato a tali misteri commette empietà se si fa seppellire con vesti di lana. In proposito esiste un racconto sacro.

                     Agli Egiziani risalgono le seguenti altre scoperte: a quale dio appartengono ciascun mese e ciascun giorno, e, sulla base del giorno di nascita, quali eventi gli capiteranno, come terminerà la vita e quale personalità avrà (astrologia); di tali scoperte si valsero quanti fra i Greci si dedicarono alla poesia.
   Da soli hanno individuato effetti miracolosi più di tutti gli altri uomini messi assieme; perché dopo il verificarsi di un prodigio osservano con attenzione l'avvenimento che ne consegue e lo registrano, sicché, quando poi qualcosa di simile accade ancora, ritengono che si ripeterà lo stesso avvenimento.
                     L'arte della divinazione in Egitto è così fatta: non viene attribuita a nessun uomo, ma spetta ad alcune divinità. E infatti in Egitto esistono oracoli di Eracle, di Apollo, di Atena, di Artemide, di Ares e di Zeus, nonché di Latona, nella città di Buto, l'oracolo che fra tutti gode della maggiore considerazione.
Le tecniche di predizione non sono ovunque le stesse, ma differiscono fra loro.

                     L'arte medica in Egitto è così suddivisa: ogni medico cura solo un certo gruppo di malattie; e ci sono medici dappertutto; alcuni curano gli occhi, altri la testa, altri i denti, altri le affezioni del ventre, altri ancora le malattie oscure.

                     Ed ecco come si svolgono lamentazioni funebri e funerali: quando in una casa viene a mancare un uomo di una certa importanza, tutte le donne della casa si impiastricciano di fango la testa o anche il volto; poi, lasciando il morto nella casa, girano succinte e a seno scoperto per la città battendosi il petto e con loro tutte le
donne del parentado. Anche gli uomini si battono il petto succinti, ma separatamente. Fatto ciò, portano il cadavere all'imbalsamazione.
                     In Egitto esistono persone depositarie di tale tecnica funeraria che svolgono questa mansione. Costoro, quando ricevono un cadavere, mostrano a quelli che l'hanno portato un campionario di salme di legno, rese somiglianti con la pittura; e li informano che la più accurata imbalsamazione è quella di colui il cui nome non mi è lecito riferire in una simile circostanza, poi mostrano la seconda che è inferiore e meno costosa e infine la terza che è la meno cara; e parlando chiedono ai clienti con quale tipo desiderino che il loro morto sia trattato. I clienti si mettono d'accordo sul prezzo e se ne vanno, ed essi, senza muoversi dai loro laboratori, imbalsamano, nel modo più accurato, come segue: per prima cosa con ferri uncinati, attraverso le narici, estraggono il cervello; in parte usano questi ferri, ma si aiutano anche con acidi.
Poi con un'affilata pietra etiopica aprono il cadavere all'altezza dell'addome e ne asportano tutto l'intestino; quindi lo puliscono, lo cospargono di vino di palma e poi ancora lo purificano con varie sostanze aromatiche in polvere. Infine riempiono il ventre con mirra pura in polvere, con cassia e con tutti gli altri aromi, a eccezione dell'incenso, e lo ricuciono. Terminata questa operazione, disseccano il cadavere tenendolo a bagno nel natron per settanta giorni; tenervelo per un tempo maggiore è assolutamente sconsigliato.
   Trascorsi i settanta giorni, risciacquano il cadavere e lo avvolgono interamente con bende tagliate da una tela di bisso e spalmate di gomma (in genere gli Egiziani usano tale gomma al posto della colla). A questo punto, i parenti se lo riprendono e fanno costruire una bara di legno a figura umana e dopo averla fatta vi rinchiudono il morto; così com'è poi, chiuso in questa bara, lo ripongono in una camera sepolcrale, sistemandolo in piedi contro la parete.
   Questo è il sistema più costoso per imbalsamare i cadaveri; preparano invece come segue chi desidera il metodo medio per evitare una spesa elevata: preparano clisteri di olio di cedro con cui riempiono il ventre del morto senza operare tagli e senza asportare l'intestino; li introducono per via rettale e impediscono poi la fuoriuscita dei liquidi; quindi disseccano il cadavere per i giorni stabiliti e allo scadere fanno uscire dal ventre il cedro che vi avevano immesso. Questo ha una tale efficacia che porta via con sé l'intestino e le viscere ormai dissolte; a loro volta, le carni vengono consumate dal natron, sicché del cadavere non restano che la pelle e le ossa. Fatto ciò riconsegnano il cadavere così com'è, senza prendersene ulteriore cura.
   Il terzo sistema di imbalsamazione è quello che prepara le persone più povere. Purificano gli intestini con l'erba sirmea, fanno disseccare il cadavere per i settanta giorni e lo consegnano da portar via.
   Le mogli dei personaggi più illustri non vengono mandate all'imbalsamazione immediatamente dopo la morte, e così pure le donne di particolare bellezza o di una certa condizione:  si lasciano passare due o tre giorni e poi sono consegnate agli imbalsamatori. Si agisce così per impedire che gli imbalsamatori abbiano rapporti fisici con queste donne; pare infatti che una volta uno di loro sia stato sorpreso mentre si univa carnalmente con il cadavere di una donna morta da poco; lo denunciò un collega di lavoro.

   Se un Egiziano, o anche uno straniero, viene ghermito dai coccodrilli o dalla corrente stessa del fiume, ed il suo cadavere ricompare, gli abitanti della città dove esso approda devono assolutamente provvedere a imbalsamarlo e a dargli sepoltura nel modo più onorevole possibile, in loculi sacri. Nessuno può toccare questa salma, né parente, né amico, né altro: soltanto i sacerdoti del dio Nilo possono dargli sepoltura con le loro mani, perché è considerato qualcosa di più che un semplice cadavere.

                     Gli Egiziani rifuggono dall'adottare usi greci, o meglio, per dirla intera, costumi di qualunque altro popolo. Questa in Egitto è la norma generale, ma nel territorio di Tebe vicino a Neapoli, in una grande città chiamata Chemmi sorge un tempio di forma quadrangolare e circondato da palmizi dedicato a Perseo, figlio di Danae: il santuario ha propilei costruiti con pietre di grandi dimensioni; oltre i propilei si trovano due statue in pietra, assai alte. All'interno di questa area sacra sorge il tempio vero e proprio, che a sua volta contiene una statua di Perseo. Gli abitanti di Chemmi sostengono che Perseo appare spesso nel loro paese e spesso all'interno del tempio; che vi si trova un sandalo calzato da lui, lungo due cubiti, e che, quando Perseo si mostra, tutto l'Egitto gode di prosperità. Questo è quanto dicono di Perseo; ed ecco quanto fanno in suo onore, alla maniera dei Greci: indicono giochi ginnici completi di tutte le specialità, stabilendo, come premi, capi di bestiame, mantelli e pelli.
   Quando io chiesi perché mai Perseo si mostrasse abitualmente solo a loro e per quale motivo avessero istituito gare ginniche a differenza di tutti gli altri Egiziani, mi risposero che Perseo era originario della loro città perché Danao e Linceo erano di Chemmi e poi si recarono in Grecia per mare; da essi poi, per varie generazioni, si giunse a Perseo. Quando Perseo arrivò in Egitto, per la stessa ragione indicata anche dai Greci, cioè per portare dalla Libia la testa della Gorgone, si sarebbe fermato presso di loro e vi avrebbe riconosciuto tutti i propri parenti; quando giunse in Egitto già gli era nota la città di Chemmi, almeno di nome, avendone sentito parlare dalla madre: allora celebrarono per lui i giochi ginnici, obbedendo a un suo ordine.

                     Tutte queste usanze appartengono alle popolazioni egiziane al di sopra delle paludi; invece quanti abitano nella regione delle paludi hanno gli stessi costumi degli altri Egiziani; fra l'altro ciascuno di loro può sposare una sola donna, come in Grecia. E per procurarsi da vivere a buon mercato hanno studiato varie soluzioni.

   Quando il fiume è in piena e la pianura assume l'aspetto del mare aperto, nell'acqua spuntano numerosi fiori di un giglio che gli Egiziani chiamano loto; essi li raccolgono e li fanno seccare al sole, quindi ne estraggono la parte centrale, simile a quella del papavero, la tritano e ne fanno pani cotti sul fuoco. Anche la radice del loto è commestibile, è un bulbo sferico delle dimensioni di una mela e di sapore dolciastro. Vi sono anche altri gigli, simili a rose, che spuntano pure nel fiume e il cui frutto si sviluppa su un altro gambo, separato dal principale ma spuntato dalla medesima radice; a vederlo è molto simile a un nido di vespe; nel frutto si trovano moltissimi semi commestibili, grandi come noccioli di oliva, che si mangiano freschi o secchi.
   Quando estraggono dalle paludi il papiro, che cresce in un anno, tagliano e mettono da parte per altri usi la sua parte superiore; mentre di quella inferiore, per circa un cubito di lunghezza, si cibano e fanno commercio.
Chi desidera fare il migliore uso del papiro lo abbrustolisce entro un forno rovente e se lo mangia così. Alcuni di loro si nutrono esclusivamente di pesce: lo catturano, lo sventrano, lo fanno seccare al sole e poi lo consumano così com'è, secco. [...omissis... lungo discorso sui pesci...] Quando il Nilo è all'inizio della piena, le concavità del terreno e le depressioni lungo il fiume sono le prime a cominciare a colmarsi dell'acqua che vi filtra dal fiume: non appena colme, subito si riempiono dappertutto di pesciolini. Io credo di indovinare da dove è probabile che essi vengano: ogni anno, quando il fiume si ritira, anche i pesci se ne vanno con le ultime acque, ma lasciano le loro uova nella fanghiglia; l'anno dopo, quando l'acqua ritorna, ecco che subito da quelle uova nascono i pesci. E sui pesci basti così.
   Gli Egiziani residenti nelle zone paludose usano un olio ricavato dal frutto del ricino; lo chiamano "kiki" e lo preparano come segue: lungo le rive dei canali e dei laghi seminano questi ricini, che in Grecia crescono spontanei allo stato selvatico; in Egitto vengono seminati e producono molti frutti maleodoranti: una volta raccolti, c'è chi li batte e li spreme con il torchio, c'è invece chi li fa abbrustolire e bollire e poi ne raccoglie il succo derivato; è un olio grasso e adatto alle lampade non meno di quello di oliva, ma emana un odore assai sgradevole.
   Contro le zanzare, che sono numerosissime, hanno studiato vari rimedi. Quanti abitano al di là delle paludi trovano sollievo grazie a delle torri, su cui salgono per andare a dormire: le zanzare a causa del vento non sono in grado di volare oltre una certa altezza. Invece quanti vivono proprio nelle zone paludose al posto delle torri hanno studiato un altro sistema; ognuno di loro possiede una rete, che di giorno serve per la pesca e di notte invece si usa così: l'appendono tutta intorno al letto in cui si va a riposare e poi vi si infilano sotto per dormire; le zanzare, che riescono a punzecchiarti anche se dormi avvolto in un mantello o in un lenzuolo, attraverso questa reticella non ci provano neppure.
   Le loro navi mercantili sono costruite con legno di acacia; questo albero somiglia moltissimo al loto di Cirene, eccetto per la gomma che ne sgocciola. Dall'acacia ricavano tavole di due cubiti che uniscono come fossero mattoni costruendo la barca come segue: fissano le assi di due cubiti intorno a fitte e lunghe caviglie; fabbricato così lo scafo vi sistemano sopra i banchi. Queste imbarcazioni non hanno costole e le giunture vengono calafatate con papiro; il timone è uno solo e attraversa la carena; hanno l'albero in legno di acacia e vele di papiro. Tali battelli non sono in grado di risalire il fiume a meno che non soffi un forte vento, perciò vengono trascinati da riva; invece quando seguono la corrente procedono così: sono muniti di un graticcio, formato da rami di tamerici intrecciati con fuscelli di canne, e di una pietra forata pesante circa due talenti: si cala il graticcio, assicurato con una fune davanti all'imbarcazione perché la trascini, e la pietra, a poppa, legata ad un'altra fune. Il graticcio, spinto dalla forza della corrente avanza velocemente e tira la "baris" (tale è il nome di queste imbarcazioni); di dietro, la pietra, trascinata a una certa profondità, mantiene rettilinea la navigazione.
C'è una grande quantità di queste imbarcazioni e alcune trasportano molte migliaia di talenti di carico.
                     Quando il Nilo inonda il paese, dalle acque emergono soltanto le città, molto simili alle isole nel Mare Egeo. Solo le città emergono, tutto il resto del territorio egiziano si trasforma in una distesa d'acqua. Allora non si naviga più lungo i rami del fiume, bensì attraverso la pianura; per andare da Naucrati a Menfi si passa accanto alle piramidi, mentre la rotta abituale tocca il vertice del Delta e la città di Cercasoro; navigando attraverso la pianura verso Naucrati, a partire dal mare all'altezza di Canobo, si passa accanto alla città di Antilla e a quella cosiddetta di Arcandro.
   Delle due, Antilla, un centro notevole, è stata scelta per la fornitura dei calzari alla moglie dei re che si succedono al trono; ciò accade da quando l'Egitto è sottomesso ai Persiani. L'altra città a mio parere prende il nome dal genero di Danao, Arcandro, figlio di Ftio e nipote di Acheo: si chiama appunto Arcandropoli; forse si tratta di un altro Arcandro, ma il nome in ogni caso non è di origine egiziana.

Tutto ciò che ho riferito finora è il risultato della mia visione diretta delle cose, o di una mia indagine o una mia opinione;
d'ora in avanti verrò a riferire racconti di Egiziani così come li ho uditi, al più aggiungerò qualche particolare ricavato dalla mia osservazione dei fatti.
 
 

continua...

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