Libera facoltà di scienze antiche
L'EGITTO DI ERODOTO



Presentiamo qui, tratti dai lunghi scritti dell'antico storico Erodoto, solo i frammenti che riguardano l'antico Egitto, secondo l'esperienza diretta che lui stesso ne fece in quell'epoca tarda e secondo quanto emerse dai suoi colloqui coi sacerdoti ed altri indigeni riguardo a tradizioni ed usanze di tempi anche molto più antichi. Sono informazioni "di prima mano" che raramente i lettori conoscono e che ci interessano, al di là della presenza di alcune semplici curiosità, perché vengono raccontate sempre secondo la mentalità antica che noi studiamo, e permettono quindi, ad un'analisi attenta, di scoprire risvolti importanti ed ancora non compresi o non accettati di quella magnifica civiltà.

Attualmente fra tutti i popoli del mondo sono gli Egiziani  a faticare meno per trarre frutto dal suolo: non devono sudare a scavare solchi con l'aratro né a zappare né a compiere alcuno di quei lavori faticosi che gli altri uomini dedicano alla coltivazione. Dopo che il fiume spontaneamente tracima, irriga i campi e poi si ritira, spargono le semenze ciascuno nel proprio terreno e vi spingono sopra i maiali, che fanno penetrare i semi nella terra; poi aspettano l'epoca della mietitura, battono il grano ancora servendosi dei maiali e in tal modo il raccolto è bell'e fatto.
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 sostennero tra l'altro che il primo uomo a regnare sull'Egitto fu Menes ; a quell'epoca l'intero Egitto, tranne il territorio di Tebe, era una palude, dalla quale non emergeva alcuna delle terre ora esistenti a nord del lago Meride; il lago dista dal mare sette giorni di navigazione contro corrente.

                     E mi pare che queste informazioni sul paese siano esatte. Infatti qualunque
                     persona dotata di intelligenza, senza avere saputo mai nulla dell'Egitto, comprende con tutta evidenza, solo a vederlo, che il territorio egiziano a cui arrivano le navi greche è per gli Egiziani una terra acquisita, un dono del fiume; e lo stesso vale per le regioni situate a sud del lago Meride, fino a tre giorni di navigazione, anche se i sacerdoti, su di esse, non mi dicevano ancora niente del genere.
La natura del territorio egiziano è tale che, gettando lo scandaglio quando la nave è ancora a un giorno di distanza da terra, si tira già su del fango; e lì l'acqua è profonda undici orgie; e ciò dimostra che fin là si trova terreno alluvionale.

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Io ho visto che l'Egitto si inoltra nel mare più delle terre circostanti, che sulle montagne si trovano conchiglie e che a tratti il sale affiora fino al punto di corrodere le piramidi, che le uniche montagne che hanno sabbia si trovano a sud di Menfi; e inoltre che il suolo dell'Egitto non somiglia né a quello dell'Arabia, con cui confina, né a quello della Libia e neppure a quello della Siria (la zona costiera dell'Arabia è abitata da Siri): ma è terra nera e friabile, perché composta di fango e detriti che il fiume ha trasportato dall'Etiopia. Noi sappiamo che il suolo della Libia è più rossastro e sabbioso, mentre in Arabia e in Siria è più argilloso e ricco di pietrisco.

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Una volta gli abitanti delle città di Marea e di Api, ai confini fra l'Egitto e la Libia, ritenendo di non essere egiziani bensì libici, irritati dai rituali del culto (desideravano sottrarsi alla proibizione delle carni di mucca), mandarono una delegazione presso il santuario di Ammone, per protestare che essi non avevano nulla in comune con gli Egiziani: abitavano fuori del Delta, e non concordavano in niente con loro; reclamavano dunque il diritto di gustare qualsiasi vivanda. Ma il dio non glielo permise dichiarando che l'Egitto comprende tutti i territori irrigati dal Nilo con le sue piene, e che quanti abitano a nord di Elefantina e bevono l'acqua di questo fiume sono Egiziani. Così si pronunciò l'oracolo.

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Gli Egiziani oltre a vivere in un clima diverso dal nostro e ad avere un fiume di natura differente da tutti gli altri fiumi, possiedono anche usanze e leggi quasi sempre opposte a quelle degli altri popoli: presso di loro sono le donne a frequentare i mercati e a praticare la compravendita, mentre gli uomini restano a casa a lavorare al telaio; e se in tutto il resto del mondo per tessere si spinge la trama verso l'alto, gli Egiziani la spingono verso il basso. Gli uomini portano i pesi sulla testa, le donne li reggono sulle spalle. Le donne orinano stando in piedi, gli uomini accovacciati; inoltre fanno i loro bisogni dentro casa e consumano i pasti per la strada, sostenendo che alle necessità sconvenienti bisogna provvedere in luoghi appartati, a quelle che non lo sono, invece, davanti a tutti. Nessuna donna svolge funzioni sacerdotali né per divinità maschili né per divinità femminili: per gli uni e per le altre il compito spetta agli uomini ...(queste usanze furono viste da Erodoto in alcune zone ed in epoca tarda, mentre in altre zone ed in epoche precedenti le cose potevano essere diverse)
I figli maschi non hanno alcun obbligo di mantenere i genitori se non lo desiderano, ma per le figlie l'obbligo è ineludibile anche se non vogliono.

Negli altri paesi i sacerdoti degli dei portano i capelli lunghi, invece in Egitto se li radono. E se presso gli altri popoli, in caso di lutto, i più colpiti, di regola, si radono il capo, gli Egiziani, quando qualcuno muore, si lasciano crescere i capelli e la barba che prima si radevano. Gli altri uomini vivono ben separati dagli animali, in Egitto si abita insieme con loro. Gli altri si nutrono di grano e orzo, in Egitto chi si nutre di questi prodotti si attira il massimo biasimo: essi si preparano cibi a base di «olira», che alcuni chiamano «zeia». Impastano la farina con i piedi mentre lavorano il fango con le mani [e ammucchiano il letame]. Gli Egiziani si fanno circoncidere, mentre le altre genti, a eccezione di quanti hanno appreso da loro tale pratica, lasciano i propri genitali come sono. Ogni uomo possiede due vestiti; le donne ne possiedono uno solo.
Gli altri legano gli anelli delle vele e le sartie all'esterno, gli Egiziani all'interno.
I Greci scrivono e fanno di conto coi sassolini da sinistra a destra, gli Egiziani da destra a sinistra, e ciò facendo sostengono di procedere nel verso giusto, mentre i Greci scriverebbero a rovescio. Possiedono due sistemi di scrittura che chiamano «sacra» e «popolare».
Sono straordinariamente devoti, più di tutti gli uomini e si attengono alle seguenti
prescrizioni: bevono in tazze di bronzo, che sfregano ben bene ogni giorno, tutti, senza eccezioni; indossano vesti di lino sempre lavate di fresco, e nel lavarle mettono molta cura. E si circoncidono per ragioni igieniche, anteponendo l'igiene al decoro personale. Ogni due giorni i sacerdoti si radono tutto il corpo per non avere addosso pidocchi o sudiciume di qualunque genere mentre servono gli dei: i sacerdoti portano solo vesti di lino e calzano solo sandali di papiro: non possono portare indumenti o calzari di materiale diverso. Si lavano con acqua fredda due volte al giorno e due volte ogni notte e si attengono a vari altri cerimoniali: ne hanno moltissimi. Ma la loro condizione comporta anche notevoli privilegi; per esempio non consumano e non spendono il loro patrimonio privato: gli vengono cotti pani sacri e quotidianamente ricevono ciascuno una grande quantità di carni bovine e di oca; e gli si offre anche vino d'uva; dei pesci però non possono cibarsi.
Gli Egiziani non seminano assolutamente fave nel loro paese, e quelle che crescono spontaneamente non le mangiano né crude né cotte: i sacerdoti non ne tollerano neppure la vista considerandole un legume impuro.
Non c'è un solo sacerdote per ciascuna divinità, ma molti e uno di loro funge da sommo sacerdote; e quando ne muore uno gli succede il figlio.
Considerano sacri ad Epafo i buoi e perciò li selezionano con cura: se vedono in un bue anche un solo pelo nero lo ritengono impuro. Uno dei sacerdoti è preposto a compiere questa ispezione: esamina l'animale facendolo stare in piedi e steso sul dorso e gli osserva anche la lingua accertandone la purezza sulla base di certi indizi prestabiliti di cui parlerò in un'altra occasione; esamina anche i peli della coda per vedere se sono cresciuti normalmente. Se il bue risulta completamente privo di impurità, il sacerdote lo contrassegna legandogli un foglio di papiro intorno alle corna; sul papiro applica creta da sigilli; vi appone il marchio e l'animale viene portato via. Per chiunque sacrifichi un bue privo di marchio è prevista la morte come punizione. Questo per quanto riguarda la cernita del bestiame; il sacrificio poi si svolge così: conducono la bestia marchiata presso l'altare designato per il rito e accendono il fuoco; versano quindi libagioni di vino sulla vittima e la sgozzano sull'altare invocando il dio, e dopo averla sgozzata le tagliano la testa. Il corpo lo scuoiano, la testa invece, dopo averle scagliato contro numerose maledizioni, la portano via: dove c'è un mercato e tra la popolazione si trovino commercianti greci, allora la portano al mercato e la vendono, dove non ci sono Greci la gettano nel fiume.
Nel maledire le teste di bue pregano che, se una sciagura sta per sopravvenire sui sacrificanti o sull'Egitto intero, si scarichi invece su quella testa. Quanto alle teste degli animali sacrificati e alla libagione di vino tutti gli Egiziani osservano lo stesso rituale, identico, per tutti i sacrifici; proprio in conseguenza di tale usanza, nessun Egiziano si ciberebbe mai della testa di alcun animale.
 Invece l'estrazione delle viscere della vittima e il modo di bruciarle differiscono a seconda dei sacrifici.

E ora vengo a parlare della dea che essi considerano più importante, in onore della quale celebrano la festa più importante. Dopo aver scuoiato il bue, pronunciano le preghiere rituali e lo sventrano togliendo tutti gli intestini ma lasciando nella carcassa, i visceri e il grasso; tagliano poi le zampe, la punta dei lombi, le spalle e il collo. Quindi riempiono ciò che resta del bue con pani di farina pura, miele, uva secca, fichi, incenso, mirra e altre sostanze aromatiche, e così riempito lo bruciano in sacrificio versandovi sopra olio in abbondanza. Prima del sacrificio osservano il digiuno; e mentre le vittime bruciano tutti si battono il petto; quando hanno smesso di battersi il petto, si preparano un banchetto con le parti rimaste della vittima.
Tutti gli Egiziani sacrificano i buoi maschi e i vitelli che risultano puri, ma non possono toccare le mucche in quanto sacre a Iside. E infatti la statua di Iside rappresenta una donna con corna bovine, proprio come i Greci raffigurano Io; assolutamente non c'è animale domestico venerato dagli Egiziani più delle femmine dei bovini. Per questo motivo mai nessun Egiziano, uomo o donna, accetterebbe di baciare un Greco sulla bocca, né mai userebbe il coltello, lo spiedo o la pentola di un Greco, e neppure assaggerebbe la carne di un bue puro tagliato con un coltello greco.
Quando un bovino muore, gli danno sepoltura nel modo seguente: le mucche le gettano nel fiume, i buoi li seppelliscono ciascuno nel proprio sobborgo, lasciando spuntare dal suolo, a mo' di indicazione, un corno della bestia o anche entrambi. Si attende che l'animale si sia decomposto e al momento stabilito in ogni città arriva una barca dall'isola chiamata Prosopitide. L'isola si trova nel Delta: nel suo perimetro, di nove scheni, si trovano varie altre città, ma quella da cui vengono le imbarcazioni a caricare le ossa dei buoi si chiama Atarbechi; qui ha sede un tempio sacro ad Afrodite. Da Atarbechi partono in molti verso differenti città: dissotterrano le ossa, le portano via e le seppelliscono in un unico luogo. E così seppelliscono anche gli altri animali che muoiono; anche per essi vige l'identica legge: non li possono uccidere.
Quanti hanno eretto un tempio a Zeus Tebano (Amon), o sono del distretto di Tebe, sacrificano capre evitando di toccare le pecore. In effetti gli Egiziani non venerano tutti ugualmente gli stessi dei, tranne Iside e Osiride, che dicono corrispondere a Dioniso: queste due divinità le venerano proprio tutti quanti.
Quanti hanno un santuario di Mendes o fanno parte del distretto Mendesio si astengono dal sacrificare caprini e uccidono solo ovini.
I Tebani e chi ha appreso da loro ad astenersi dalle pecore dicono che tale regola venne imposta loro per la seguente ragione. Eracle, raccontano, fu preso da un gran desiderio di vedere Zeus (Amon), ma Zeus non voleva essere visto da lui; poiché Eracle insisteva, Zeus dovette ricorrere ad un artificio: scuoiò un montone e gli tagliò la testa; poi si mostrò a Eracle tenendo la testa del montone davanti alla propria e indossandone la pelle. Ecco perché gli Egiziani rappresentano Zeus nelle statue con la testa di montone; e come gli Egiziani fanno gli Ammoni, che sono coloni egiziani ed etiopici e la cui lingua è una via di mezzo tra l'egiziano e l'etiope.

A mio parere gli Ammoni derivarono dal dio egizio anche il loro nome, dato che gli Egiziani chiamano Zeus col nome di Ammone. Dunque per questo motivo i Tebani non sacrificano i montoni, anzi li ritengono animali sacri. Però c'è un giorno, nell'anno, durante la festa di Zeus, in cui uccidono un montone, lo scuoiano e con la sua pelle rivestono nella stessa maniera la statua di Zeus (Ammone); accanto ad essa trasportano una statua di Eracle; dopodiché tutti gli addetti al tempio si battono il petto in segno di lutto per il montone e lo seppelliscono in una fossa consacrata.

A proposito di Eracle ho sentito raccontare che è una delle loro dodici divinità. Dell'altro Eracle, quello conosciuto dai Greci, in nessuna parte dell'Egitto ho potuto avere notizie. Che non siano stati gli Egiziani a prendere il nome di Eracle dai Greci, ma piuttosto i Greci dagli Egiziani, e precisamente quei Greci che chiamarono Eracle il figlio di Anfitrione, molti indizi me lo provano e il seguente in particolare: Anfitrione e Alcmena, i genitori dell'Eracle greco, avevano antenati originari dell'Egitto. Del resto gli Egiziani dichiarano di non conoscere i nomi né di Poseidone né dei Dioscuri, e non li annoverano fra le restanti divinità. Ora, se gli Egiziani avessero adottato dai Greci un personaggio divino, si sarebbero ricordati di questi appena nominati in misura non minore, ma maggiore, se è vero che anche allora erano dediti alla navigazione ed esistevano dei marinai Greci; così almeno mi aspetterei, e questo il mio ragionamento richiede. Insomma non Eracle bensì queste altre figure divine gli Egiziani avrebbero dovuto derivare dai Greci.
L'Eracle egiziano è certamente un dio antico; come essi stessi raccontano, fra il regno di Amasi e l'epoca in cui gli originari otto dei diventarono dodici (Eracle secondo loro era uno di questi dodici) son passati 17.000 anni.

   Io  poi, volendo conoscere le cose con chiarezza da chi era in grado di dirmele, mi recai per mare fino a Tiro, in Fenicia; avevo saputo che là si trovava un tempio sacro a Eracle, e lo vidi, riccamente adorno di molti e vari doni votivi; e fra l'altro c'erano due colonnine, una d'oro puro, l'altra di smeraldo che nella notte riluceva grandemente. Conversando con i sacerdoti del dio domandai da quanto tempo fosse stato costruito il tempio, e così constatai che neanche nel caso loro c'era concordanza con i Greci: mi risposero infatti che il tempio risaliva all'epoca della fondazione di Tiro, e che Tiro era abitata da 2300 anni. A Tiro vidi anche un altro tempio di Eracle, detto di Eracle Tasio, perciò visitai anche Taso e vi trovai un santuario di Eracle edificato dai Fenici che, andando per mare alla ricerca di Europa, fondarono Taso; e tutto ciò era accaduto almeno cinque generazioni prima che in Grecia nascesse l'Eracle figlio di Anfitrione. Le indagini dimostrano dunque, con evidenza, che Eracle è un dio molto antico. Per conto mio l'atteggiamento più corretto lo mostrano quei Greci che hanno edificato santuari dedicati a due Eracle, a uno sotto l'appellativo di Olimpio offrendo sacrifici come a un dio immortale, all'altro rendendo onori come a un eroe.
Sono molte e varie le cose che i Greci raccontano con assoluta superficialità, fra le quali una sciocca storia riguardante un viaggio di Eracle in Egitto; qui gli Egiziani dopo avergli legato intorno alla testa le sacre bende lo avrebbero condotto in processione per immolarlo a Zeus; lui per un po' sarebbe rimasto tranquillo, ma poi, quando cominciarono presso l'altare i riti per il suo olocausto, fece ricorso alla forza e uccise tutti gli Egiziani. A me pare che i Greci narrando questa favoletta dimostrino di ignorare assolutamente l'indole e le usanze egiziane. Infatti, gente per cui costituisce empietà persino immolare animali, tranne ovini, buoi, vitelli, purché siano puri, e oche,... come potrebbe, gente così, compiere sacrifici umani? E come avrebbe potuto Eracle, da solo, e per di più da semplice mortale, a sentir loro, uccidere decine di migliaia di Egiziani? A noi che abbiamo speso così tante parole su tali argomenti gli dei e gli eroi concedano il loro favore.

Ma ecco perché i Mendesi, Egiziani da noi già nominati, non sacrificano né i maschi né le femmine delle capre: essi annoverano Pan fra le otto divinità, e dicono che queste otto divinità esistevano prima dei dodici dei, e gli artisti nelle loro pitture e nelle loro sculture rappresentano Pan come fanno i Greci, con volto di capra e zampe di capro; non perché lo credano fatto così, anzi lo ritengono simile agli altri dei, ma per una ragione che ora non mi piace riferire. I Mendesi venerano tutti i caprini, gli esemplari femmina e ancora di più i maschi, i cui guardiani ricevono onori maggiori; tra gli animali ce n'è uno particolarmente venerato alla cui morte nel nomo di Mendes si proclama un lutto generale. Tra l'altro, "capro" e "Pan", in egiziano si dicono «mendes». E ai miei tempi in questo distretto avvenne un fatto straordinario: pubblicamente una donna si accoppiava con un capro, alla luce del sole, dico, davanti a tutti.

Gli Egiziani considerano il maiale un animale immondo; già uno, se fa tanto di sfiorare un maiale passandogli accanto, va subito a immergersi nel fiume, così com'è, con tutti i vestiti indosso; i guardiani di maiali, poi, anche se egiziani di nascita, sono gli unici a non poter entrare in alcun santuario egiziano; e nessuno desidera concedere per sposa sua figlia a uno di loro, o prendere in moglie la figlia di un porcaro, tanto che i porcari finiscono per celebrare matrimoni solo all'interno del gruppo.
Gli Egiziani non ritengono lecito offrire suini a dei che non siano Selene (quindi siamo in "campo" lunare, non solare, la corrispondente egizia della fanciulla greca che solo più tardi fu identificata con Artemide-Ecate) e Dioniso (Osiride-Iside); a tali divinità sacrificano maiali, nello stesso periodo, nello stesso plenilunio, e ne mangiano le carni. Sul motivo per cui nelle altre feste si astengono con orrore dai maiali, e in questa invece ne sacrificano, gli Egiziani narrano una leggenda: io la conosco ma non mi sembra molto decorosa da riferire.
 L'offerta del maiale alla dea Selene avviene nel modo seguente: una volta ucciso l'animale, si prendono insieme la punta della coda, la milza e l'omento, li si ricopre per bene col grasso ventrale della vittima e li si brucia; delle altre carni ci si ciba nel giorno di plenilunio, lo stesso in cui il rito ha luogo: in giorni diversi non le si assaggerebbe nemmeno. I poveri, non avendo altre risorse, impastano focacce in forma di maiale, le fanno cuocere e poi le «sacrificano».
  Invece in onore di Dioniso, la vigilia della festa, ciascuno sgozza un porcellino davanti alla propria porta e lo consegna allo stesso porcaro che glielo aveva venduto, affinché se lo porti via. Per il resto, a parte l'assenza di cori, la festa dedicata dagli Egiziani a Dioniso è pressoché identica a quella dei Greci. Al posto dei falli hanno inventato statuette mosse da fili, alte circa un cubito che le donne portano in giro per i villaggi; ogni marionetta è fornita di un pene oscillante, lungo quasi quanto il resto del corpo. In testa alla processione va un suonatore di flauto, le donne lo seguono inneggiando a Dioniso.
Una leggenda sacra spiega per quale ragione il fallo è così sproporzionato e perché nelle statuette è l'unica parte dotata di movimento.

A me pare che già Melampo figlio di Amitaone non ignorasse questo rito sacrificale, anzi ne avesse esperienza diretta. Effettivamente fu Melampo a introdurre fra i Greci la divinità di Dioniso, i sacrifici relativi, e la processione dei falli; o meglio, egli non rivelò tutto in una volta tale culto: i sapienti venuti dopo di lui ampliarono le sue rivelazioni. Fu però Melampo a introdurre la processione del fallo in onore di Dioniso, ed è dopo averlo appreso da lui che i Greci fanno quello che fanno. Io dico insomma che Melampo, certamente persona di grande sapienza, si procurò capacità divinatorie e introdusse in Grecia parecchi culti conosciuti in Egitto, tra cui in particolare quello di Dioniso, operando in essi poche modifiche.
Non posso ammettere che il rito egiziano coincida fortuitamente con quello greco: in questo caso il rito greco sarebbe conforme ai costumi greci e non di recente introduzione; né posso ammettere che gli Egiziani abbiano derivato dai Greci questa o altre usanze. A me pare altamente probabile che Melampo abbia appreso il culto di Dioniso da Cadmo di Tiro e dai suoi compagni, giunti dalla Fenicia nel paese oggi chiamato Beozia.

                     Dall'Egitto vennero in Grecia quasi tutte le divinità. Di una loro origine barbara io sono convinto perché così risulta dalle mie ricerche; e penso a una provenienza soprattutto egiziana. Infatti, ad eccezione di Poseidone e dei Dioscuri, come ho già avuto modo di dire, nonché di Era, di Estia, di Temi, delle Cariti e delle Nereidi, le altre divinità sono tutte presenti da sempre in quel paese, fra gli Egiziani: riporto quanto essi stessi dichiarano. Quanto alle divinità che sostengono di non conoscere io credo che tutte siano espressione dei Pelasgi, tranne Poseidone.
                     Conobbero questo dio dai Libici; infatti nessun popolo conosce Poseidone fin dalle origini tranne i Libici, che da sempre lo onorano. Quanto al culto degli Eroi, esso è
del tutto estraneo alle consuetudini egiziane.
                     Tutto questo dunque i Greci accolsero dagli Egiziani, e altro ancora che dirò più avanti; ma l'uso di fabbricare le statue di Ermes con il pene ritto non deriva dagli Egiziani bensì dai Pelasgi: i primi ad adottarlo fra i Greci furono gli Ateniesi, e da essi lo impararono gli altri. Infatti, quando ormai gli Ateniesi si erano del tutto ellenizzati, nel loro paese vennero ad abitare dei Pelasgi: questa è la ragione per cui costoro cominciarono ad essere considerati Greci. Chi è iniziato ai misteri dei Cabiri, misteri che i Samotraci celebrano dopo averli acquisiti dai Pelasgi, sa ciò che dico. In effetti i Pelasgi venuti a coabitare con gli Ateniesi si stanziarono poi in Samotracia e da loro i Samotraci appresero tali misteri. Insomma gli Ateniesi furono i primi Greci a raffigurare nelle statue Ermes con il membro ritto perché lo avevano imparato dai Pelasgi. In proposito i Pelasgi composero un sacro racconto divulgato durante i misteri di Samotracia.

   Un tempo i Pelasgi, come io stesso so, avendolo udito a Dodona, compivano tutti i sacrifici e invocavano gli dei senza usare un nome personale o un appellativo: ancora non conoscevano nulla del genere. Li chiamarono «dei» in quanto avevano stabilito l'ordine dell'universo e quindi regolavano la ripartizione di ogni cosa. Molto tempo dopo appresero i nomi di tutti gli altri dei, originari dell'Egitto, tranne quelli di Dioniso che appresero molto più tardi; dopo un certo tempo interrogarono l'oracolo di Dodona a proposito di tali nomi; l'oracolo di Dodona è considerato il più antico della Grecia intera e a quell'epoca era anche l'unico. Dunque i Pelasgi chiesero a Dodona se dovevano accogliere le divinità provenienti da genti barbare e l'oracolo rispose di accoglierle. Da allora nei loro sacrifici adoperarono gli appellativi divini. Tale uso passò più tardi dai Pelasgi ai Greci.
   Da chi sia nato ciascuno degli dei, oppure se siano sempre esistiti tutti e quale aspetto avessero, non era noto fino a poco tempo fa.
   Io credo che Omero ed Esiodo siano più vecchi di me di 400 anni e non oltre: e furono proprio questi poeti a fissare per i Greci la teogonia, ad assegnare i nomi agli dei, a distribuire prerogative e attività, a dare chiare indicazioni sul loro aspetto; i poeti che hanno fama di essere vissuti prima di loro io li credo invece posteriori. Di quanto qui sopra esposto, le prime informazioni provengono dalle sacerdotesse di Dodona, ciò che si riferisce a Omero e a Esiodo è opinione mia.
   A proposito dei due oracoli, quello greco di Dodona e quello libico di Zeus Ammone, gli Egiziani narrano una storia. I sacerdoti di Zeus Tebano mi raccontarono di due donne, due sacerdotesse, rapite da Tebe ad opera di Fenici: una di loro, come avevano appreso più tardi, era stata venduta in Libia, l'altra in Grecia; a queste donne risalirebbe la fondazione degli oracoli esistenti fra i suddetti popoli. Io domandai ai sacerdoti da dove attingessero notizie così precise sugli avvenimenti ed essi mi risposero che avevano cercato a lungo quelle donne senza riuscire a trovarle; solo più tardi, aggiunsero, avevano ottenuto su di loro le informazioni a me riferite.
   Questo è quanto seppi dai sacerdoti di Tebe.

La versione delle indovine di Dodona è differente: secondo loro due colombe nere volarono via da Tebe d'Egitto e giunsero l'una in Libia, l'altra a Dodona. Quest'ultima, appollaiata su di una quercia, con voce umana avrebbe proclamato che si doveva fondare in quel luogo un oracolo di Zeus; la gente di Dodona, ritenendo di origine divina un simile annuncio, si comportò di conseguenza. La colomba direttasi in Libia, narrano, avrebbe ordinato ai Libici di fondare l'oracolo di Ammone, che è anch'esso di Zeus. Questo mi raccontarono le sacerdotesse di Dodona, che si chiamavano Promenia, la più anziana, Timarete, la seconda, e Nicandre, la più giovane; e con la loro versione concordano anche gli altri abitanti di Dodona addetti al santuario.
   La mia opinione al riguardo è la seguente: se veramente i Fenici rapirono le sacerdotesse e le vendettero, l'una in Libia e la seconda in Grecia, io credo che quest'ultima fu venduta nel paese dei Tesproti, nell'attuale Grecia, che allora si chiamava Pelasgia; lì visse come schiava, poi, sotto una quercia cresciuta spontaneamente, fondò un santuario di Zeus; era logico che lei, già sacerdotessa di Zeus a Tebe, volesse perpetuarne il ricordo anche là dov'era giunta. Più avanti, quando imparò la lingua greca, diede inizio alle attività dell'oracolo. Fu lei a raccontare di una sua sorella venduta in Libia dagli stessi Fenici che avevano venduto lei.
   A mio avviso i Dodonesi hanno chiamato colombe le due donne perché erano barbare e perciò a loro sembravano emettere suoni simili al canto degli uccelli, e aggiungono che la colomba prese a parlare con favella umana col passare del tempo, cioè quando la donna cominciò a esprimersi in maniera comprensibile: finché si serviva di un idioma barbaro sembrava a tutti che emettesse una specie di verso da uccello; come avrebbe potuto una colomba parlare con voce umana?
   Descrivendo poi la colomba come nera di colore, indicano che la donna proveniva dall'Egitto. Guarda caso l'arte mantica praticata a Tebe d'Egitto e quella praticata a Dodona sono assai simili fra loro. E anche la divinazione mediante l'esame delle vittime sacrificate proviene dall'Egitto.
 
 

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